La pubblicazione di frasi diffamatorie su social network integra l’ipotesi aggravata del reato trattandosi di una condotta posta in essere mediante un “mezzo di pubblicità”: la diffusione del messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo di un social network, infatti, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché i profili social racchiudono un numero apprezzabile di persone, sia perché l’utilizzo di essi integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita.
Così la Corte di Cassazione (sent. 8328/2016) chiamata ancora una volta ad esprimersi su un caso di contenuti diffamatori postati sulla bacheca di Facebook.